Che cosa possiamo ancora sperare?
Se possiamo in una speranza.
Se ne abbiamo ancora la voglia.
Di sperare disperati.
Sparandoci.
Non ci sostiene qui neppure la punteggiatura.
Quale significato possano ora avere le interrogative o esclamative, dubitative, retoriche...
"Attacchi" difficili quando dobbiamo scrivere di cuore.
E' talmente totale l'abbandono di interessi che pervade da asportarci i polpastrelli.
Non per le identità, ma per smetterla anche di pigiare questi tasti.
Non se ne ha quasi più voglia.
Ti senti autorizzato eticamente a comprare un rasoio bic monuso dai cinesi e toglierti la faccia.
Qualsiasi cosa provi a mettere in circolo resta lì.
Non si veicola un gran bel niente.
Sembriamo tutti delle matrone buttate su ottomane fatte d'oppio e depressioni maggiori.
Abbiamo paura, sudiamo freddo, prendiamo l'alprazolam.
Cerchiamo molecole americane nuove per rianimare le adrenaline.
Molti, tanti, troppi corrono dagli olistici. Un ultimi tentativi.
Li senti parlare di fiori di Bach e pensi che forse Giovanni Sebastiano era meglio in una famosa Distruzione Brandeburghese.
Solo citato però.
Perché ad ascoltarlo troppo ti veniva anche voglia di strizzarti i coglioni.
Dopo un po' basta anche quello.
Certo che lo sappiamo che non si capisce che cosa stiamo dicendo.
Dove stiamo parando.
Il percheccome.
Ma quando si buttano giù di ferocia gli affetti nelle lettere poco importa.
Anche le virgole potrebbero aiutare a capire di più, ma se non le si mette è meglio.
Senza virgola certe piccole frasi irrompono nelle teste peggio del più terribile dei Ko'an.
-
Tipo quello che recita "taglia amore taglia e non pentirtene mai".
Come si fa a capirlo pienamente?
O anche solo in parte?
Provate a sistemarle voi le virgole, i punti, l'esclamativo.
Questo Ko'an è mutevolissimo.
Un piccolo segno messo prima, dopo o omesso, ne cambia il significato.
E' una di quelle cose imprendibili.
Libera interpretazione per ognuno.
I Ko'an sono anarchia totale sana.
Paradosso e struttura di quella magia che nulla ha a che spartire con esoterismi.
Esercizio propedeutico duro per restituire eidetismo a noi decorticati da troppo tempo.
Perché dalla più tenera delle nostre età biologiche i nostri neuroni crepano continuamente.
E quelli non hanno il dono della riproduzione.
Li perdiamo e basta.
Se poi ci mettiamo anche a bere, cannare, sniffare, inalare, quelli [i neuroni] li facciamo fuori ancora più velocemente.
Ogni "uscita" dalla realtà è una piccola morte.
Una preparazione alla vita vegetale seppure racchiusa in corpi scolpiti.
Nutriamo la forma e non ci occupiamo più della sostanza.
Come dire... per colpa delle "sostanze", tutte, abbiamo perso l'unica sostanza.
Pensare.
-
E se è un atto ormai svilito il pensare.
Che ne è del dire il pensato?
Se è vero, ed è vero, che ciò che si dice è ben altro da quello che si pensa perché "language is a virus", noi non ci sforziamo neppure per superare un piccolo limite.
Manco un sospiro di fastidio emettiamo.
Siamo stati sconfitti.
Non abbiamo più parole?
Va beh! Possiamo allora provare emozioni nuove vomitando?
Perché è così che le parole escono a fiotti.
Senza pausa.
Se è vero, come è vero che da decenni ingurgitiamo dolore e silenzio per paura, quanto riusciremo ancora a trattenere lo sbocco?
-
Di cosa sta delirando lo scrittore con la esse minuscola?
Che ci viene a dire?
Soprattutto: sta dicendo?
Se dice [eccome se dice!] perché lo viene a dire a noi?
E poi perché proprio qui?
Lo scrittore deve bestemmiare il pensiero.
Ogni tanto lo deve fare.
Anche se, sforzandosi in conati, poco riesce a trasferire.
Gli scrittori ormai sono come il Supradyn.
Ne bevi bicchieroni convinto che ti fa bene, e invece quando pisci vedi che tutto è finito lì.
Disutili spese e astucci a non rendere.
-
Ma questa maledetta parola che non riusciamo più ad adoperare,
strozzata nella laringe,
costretta d'adenoidi gonfie per i pianti da tempi e tempi,
non possiamo averla dimenticata.
Non dobbiamo.
Piuttosto che ecolalia meglio cominciare a riprenderci i no.
Usare solo quelli.
Opporsi.
Essere contro.
Stabilire una linea netta di demarcazione.
Un confine di appartenenza.
Rielaborare a livello animale il territorio.
Segnarlo d'odore riconoscibile.
Non percorrere il già tracciato.
Difendere d'aggressività umana, finalmente umana.
E non esserci con loro.
-
Negarli è possibile.
Lasciarli soli.
Niente collaborazione.
Nessun ripensamento.
Perché ci hanno tolto proprio tutto.
Anche l'amore.
Così in questa solitudine digitale,
con voi lontani, assenti, troppo impegnati,
veloci, stressati, che non rispondete,
che tutto vi passa accanto ed è meglio se è tanto,
il tutto che passa,
per fare apparenza, volume, finta presenza, stramaledetta Maya.
Anche voi, soprattutto, che ci fate sentire sempre più soli,
in questo splendore di pixel:
sporcatevele queste cazzo di mani.
Dateci un pezzo del vostro cuore.
Che noi qui stiamo esaurendo
d'emorragia aperta interna.
Manco si vede.
Provate a dirci qualcosa e non scrivetevi addosso.
-
Ecco: questa è la mia pelle,
voglio calligrafia di rivolta
sul corpo.
Ecco: questo è il mio sangue
voglio restituire il piacere.
Prendiamo e mangiamone tutti.
[noi]
- Area Urbana -
[breve e molto ragionata bibliografia: